Le trasferte difficili
Lo so: pochi ci crederanno conoscendomi oggi, qualche capello in meno e troppe Tennents in più, mai ai tempi gloriosi (si dice così, no?) della mia giovinezza sono stato anch’io un “tifoso da trasferta”. Ammettiamolo, la situazione era decisamente più agevole: non esisteva la tessera del tifoso, i club organizzavano pullman a ruota libera, c’erano i mitologici “treni speciali” e…beh, si, ho avuto la fortuna di vivere il periodo della “Sampdoro” a cavallo della maggiore età, un periodo che non tornerà più (quell’età anagrafica, intendo: sulla Sampdoro 2.0 mai dire mai).
Quindi, anche se non fa particolarmente cool ammetterlo, il problema di andare in trasferta era condensato nella fatidica domanda: “mamma domani vado in trasferta: mi molli ventimilalire?”
Parentesi:
La prima risposta ovviamente era: “Ma sei scemo?”. Poi seguivano in rigoroso ordine: “Dove? Con chi? Come? Ventimilalire? Ma sei scemo?”. Il che (notare l’arguzia sintattica materna) permetteva di chiudere il cerchio in un meraviglioso mantra-loop consentendo alla genitrice stessa enne giri a suo piacimento di “Ma sei scemo? Dove? Con chi? Come? Ventimilalire? Ma sei scemo? Dove? Con chi? Come? Ventimilalire? Ma sei scemo?”. Le mie risposte, invece, erano a dir poco variegate, salvo concludersi, sempre e comunque, con un serafico: “Tranquilla, Mà, siamo gemellati!”
Tornando a QUELLA trasferta, naturalmente non posso ricordarmi di aver detto in quell’occasione quelle precise parole a mia madre, ma, appunto, sono sicuro di averle pronunciate proprio perché lo facevo sempre.
Il punto, tuttavia, è che quella trasferta fosse:
Sampdoria-Atalanta
Coppa Italia – Secondo Turno
14 settembre 1988 (no memoria: googlato)
Ad ALESSANDRIA
Non avendo mai fatto parte della tifoseria organizzata (ed essendo all’epoca molto giovane e ingenuo) partivo senza sapere che:
– Non eravamo affatto gemellati con l’Atalanta (non con una frangia dei suoi tifosi, almeno)
– Non eravamo, ma niente affatto proprio, gemellati con i tifosi dell’Alessandria, che ci aspettavano a braccia aperte e spranghe in mano (e ancora adesso mi chiedo: ma che senso ha una rivalità coi tifosi dell’Alessandria??)
– La celere di Alessandria, evidentemente non amichevole di suo, aspettava TUTTI (Doriani,Orobici e Grigi) a braccia spalancate. E manganello in mano
Ricordo un viaggio d’andata, in treno, molto tranquillo: una zingarata in coda all’estate, quattro amici e quattro chiacchere. Poca gente, per l’epoca.
Ricordo (poco) un corteo fino allo stadio (piccolo e vecchio) dove si sta stretti, c’è uno striscione (nostro) che non capiamo e ci fa ridere.
Ricordo (pochissimo) la partita, vinta quasi senza impegno, quel Doria è tanto più forte di quell’Atalanta; non chiedetemi perché ma ricordo (benissimo) che alla celere schieratissima nel nostro settore cantiamo “Vallanzasca-eh-eh! Vallanzasca oh-oh!”
Ricordo che usciamo dallo stadio: usciamo e ci ritroviamo, io e i miei tre amici, nel pieno della guerriglia urbana.
Fuori ci sono quelli dell’Atalanta (o una frangia dei suoi tifosi, almeno). Ci caricano. La celere nel dubbio spara lacrimogeni su tutto e tutti.
Io e il mio gruppo (notoriamente dei facinorosi da stadio) applichiamo l’unica strategia che conosciamo in simili contesti: corri, corri forte, corriamo insieme noi quattro, corriamo distanti dagli altri che lì volano schiaffi.
Ci perdiamo.
Nascondi le sciarpe che non si sa mai. Non facciamo a tempo: ci carica un pugno di alessandrini incazzati, armati di brutto “AMMAZZA IL DORIANO”
Corri, corri forte che siamo pochi e veloci, loro tanti ma ubriachi, goffi.
Li seminiamo. Respira. Nascondi la sciarpa cazzo che questi di Alessandria sono pazzi!
Vediamo da lontano una ventina dei nostri, quelli duri da gradinata, corriamo verso di loro.
Ma siamo senza sciarpa loro sono nervosi, e ci caricano. Rido ancora adesso: ci vediamo arrivare addosso una carica di Ultras e io c’ho le mani che tremano, non riesco a sbottonare il giubbino di jeans e fargli vedere la sciarpa nascosta. Riusciamo a tirarle fuori che saranno a tre metri “BELIN fermi siamo DORIANI!!!”.
Ci mettiamo con loro, ci sentiamo protetti.
Ma subito arrivano altri Grigi, e stavolta sono tanti, ma tanti proprio, caricano in massa. Il capo Ultras grida “Alla stazione! Di corsa alla stazione che ci ricongiungiamo con gli altri!”. Sembra un discorso da fine stratega ma la strategia è identica a quella che già conoscevo: corri, corri forte, stavolta si corre in un gruppetto un po’ più grande. Guarda avanti e corri, non fermarti, corri. Mi fa male la milza, corri. Ora sono proprio stanco, corri. Corri, corri, corri, che siamo in una via stretta e fa paura. Corri che siamo gli ultimi del gruppo. Corri, corri, corri che quella là in fondo è una piazza. Si, è la piazza della stazione, la riconosco dai lampioni. Corri anche se nella piazza vedi da lontano che l’aria è piena di fumo. Corri che pazienza là saremo tutti insieme cosa vuoi che ci succeda.
Corri che sbuchi in piazza.
Appena in tempo.
Appena in tempo di vedere, alla tua sinistra, la celere che carica compatta, in forze. Saranno a cinque metri.
Sterza secco a destra.
Ma la sterzata ti fa perdere velocità e coordinazione. Quei cinque metri di vantaggio li perdi in tre passi.
Senti un colpo di manganello sul fianco della coscia, da dietro, senti più il rumore che il dolore, anzi il dolore non lo senti proprio: la gamba è più che paralizzata, sembra morta.
Fai ancora due passi con la gamba rigida di legno, poi senza alcuna esperienza fai l’unica cosa che ti sembra saggia: ti butti a terra in posizione fetale, testa fra i gomiti.
Passano talmente veloce che prendi giusto qualche colpo sporco dalla mandria: non ti sei fatto niente.
Ti tiri su, ti guardi intorno e siamo tutti lì noi quattro, quasi illesi.
Come è iniziata finisce: ora sul piazzale ci sono solo i nostri tifosi. Sembra quasi non sia mai successo nulla. Il nostro gruppetto fa colletta, una focaccina al salame e qualcosa da bere. In quattro. Se chiudo gli occhi quella focaccina la vedo ancora oggi.
Saliamo sul treno. Comodi. Scoppiamo a ridere. Abbiamo sempre giurato di non finire in quel tipo di situazioni. Non ci eravamo mai finiti, prima. Non ci saremmo mai più finiti, dopo. Quella sera ci è capitato, ci è capitata l’ultima cosa che avremmo voluto o cercato. Ma ci è capitato, e ci è andata bene.
Torno a casa tardi.
Ancora zoppico, e dovrò coprire il livido per qualche giorno.
Dalla camera da letto dei miei la voce di mia madre:
“Ho visto che avete vinto. Come è andata? Tutto bene?”
“Tutto liscio Mà.. te l’avevo detto che siamo gemellati!”